Pippo Consoli in una foto di Mimmo Pavone |
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Orfeo ed Euridice Paolo e Francesca |
Mi è toccato di venire al mondo nell’autunno 1919 a Mascalucìa, lindo paesino che si adagia a 420 metri di quota sui morbidi pendìi del vasto versante meridionale dell’Etna, con impianto sei-settecentesco, successivo alla grande eruzione dei Monti Rossi (1669), le cui colate laviche circuirono Catania intorno alle mura di Carlo V, e posteriore al violento terremoto (1693) che ne rase al suolo l’antica vicenda urbana. Insieme alla mia sorellina maggiore, Graziella, vi ho goduto di una amorevole infanzia, accudita dalle premurose attenzioni della mamma, Nunzia Guardo, casalinga, e del papà, Antonino Consoli, maestro elementare a Catania, ove scendeva tutte le mattine, in carrozza, con lo ‘gnuri Giuvanni Pettinaporci’. Nella spaziosa casa avìta, che nel portone di pietra lavica recava incise, in chiave d’arco, la sigla ‘G. C.’ di un mio avo e la data ‘1794’, la nostra famigliola si integrava delle due zie, Concetta e Anna, sorelle maggiori di papà, che gestivano al pianoterra una ben fornita cartoleria, e della nonna materna, Sara, che veniva spesso a trovarci da Gravina di Catania, paesello adiacente, detto ‘i Prachi’. Ho avuto una fanciullezza vivace e stimolante tra amichetti del vicinato che venivano a giocare con me nel cortile. E poi una istruzione scolastica prestigiosa per i meriti della maestra, Maria Trombetta, che aveva valorizzato talune mie attitudini. Ottenni ad Acireale nel giugno 1928 un diploma di primo grado con medaglia d’oro nella gara di disegno spontaneo tra gli scolari del Circondario Etneo. Allora, i miei quaderni, zeppi di figure, erano preda abituale dei maestri, ad ogni fine d’anno scolastico. E poiché taluni maestri mi richiedevano per illustrare nelle loro lavagne vari argomenti, un giorno decisi di sottrarmi a tale pedaggio e mi resi irreperibile a scuola per tutta la mattinata. Mi cercarono perfino a casa, suscitando il panico di mia madre. Dichiarai poi che non sopportavo di venire ‘usato’: per me, disegnare, era un piacere istintivo, non programmatico. |