Livia tra i fiori L’estasi di Sant’Antonio Fichidindieto |
Intanto, il Parroco di Mascalucia, don Arcangelo Longo, mi propose di dipingere per la Chiesa Madre una Pala d’altare: L’estasi di sant’Antonio di Padova. Immaginai il Santo genuflesso a braccia protese verso il Gesuino, incarnantesi luminoso fuori dalla icone dugentesca ov’era in braccio alla Madonna. Chiesi al mio caro amico d’infanzia Concetto Torrisi di posare per gli scorci delle mani del Santo e ne colsi anche le fattezze. Il 13 giugno, col parere favorevole della Commissione Diocesana di Arte Sacra, il mio dipinto fu benedetto dal Parroco Longo e collocato sull’altare, nella navata sinistra della Chiesa Madre, ov’è devotamente venerato tutt’ora. Il 20 luglio ’46, svolsi la tesi orale, ottenendo ‘100 su 110’ e la laurea in Lettere Moderne, che, a settembre, mi consentì di assumere l’incarico per l’insegnamento della Storia dell’Arte al Liceo classico ‘Cutelli’ di Catania, nelle sezioni staccate di Paternò. Recandomi lì due volte la settimana, percorrevo con lo sguardo dalla ‘Circum-etnea’ le distese di fichidindieti. Provai a riprodurre quel paesaggio singolare con grovigli e ghirigori di filettature roteanti, a punta di pennello, simulanti i singoli arbusti a pale sul grigiastro della sciara variegato di muschio arancione o giallastro. Poi presi parte con Le Comete e Le Donne del gallo ad una collettiva di 87 pittori a Siracusa, recensita da Santi Luigi Agnello. Livia studiava con ottimi risultati agli esami. Mi allietava assistervi a distanza e vederla rispondere agevolmente ai quesiti degli esaminatori. Viceversa, io ero irrequieto. Aspiravo ad una attività redditizia. Ma l’attività artistica esigeva un mercato efficiente. Andare a vivere a Parigi con Livia era un’utopia, una iperbole. Nel luglio ’47, andai per la prima volta a Milano, ospite di un cugino di mio padre. Livia avrebbe trascorso qualche settimana con i miei. Non sapevo che, d’estate, quasi tutte le Gallerie d’arte fossero in ferie. Solo alla Spiga permanevano opere del gruppo ‘Nuova Secessione’, tra cui le Stiratrici e le Lavandaie di Guttuso. Gianferrari mi accolse cordiale e mi diede un modulo per concorrere al ‘Premio Suzzara’. Andai a casa di Salvatore Quasimodo; ne elogiai ‘Ed è subito sera’ e gli chiesi se fosse disponibile per presentarne una eventuale collettiva di artisti catanesi a Milano. Mi rispose, lapidario: “Noi possiamo apprestare a difesa una città, purché la città esista”. Ritrovai poi alcuni compagni di prigionia, già avviati nelle loro attività. Al ritorno da Milano, capitai insieme ad una comitiva di studenti universitari di Praga. Non conoscevano l’Italiano. Parlavano l’Inglese. Io il Francese. Conversammo in latino, da Milano a Roma, ove loro scesero. Mi arrivò a Mascalucia una cartolina da Praga con tante firme. Ne decifrai una: Dagmar Yelinkova. |