Il Mangiaspaghetti (foto b/n) Contadina abruzzese (foto b/n) Domì |
Inviai al Premio Suzzara il disegno Contadino siciliano che si disseta (cm. 50 x 70). Appresi dai giornali che c’era un ‘Quinto Consoli’, tra gli artisti premiati. Invece (secondo lo slogan del Premio Suzzara: ‘un vitello per un quadro non abbassa il quadro, innalza il vitello’), arrivò a me la cassetta contenente 9 kg di cotechini. ‘Quinto’ era dunque il mio posto nella graduatoria dei premiati. Se non ché, incinta al primo mese, Livia non sopportò l’odore di quei pregiati salumi mantovani. Peleo e il gatto delle sorelle Fusco ne ebbero la loro parte. Il resto lo divisi tra vari amici. Uno di loro, Stelio Carozza, grato al Premio Suzzara, mi offerse, quale spazio ove dipingere, una stanza al piano terra del palazzo di sua proprietà, all’imbocco superiore della via Materdomini. Lo remunerai con il dipinto Contadina abruzzese che dignitosamente recava sul capo un tacchino accovacciato in una grande cesta. Quando Livia concluse il suo saggio, su Il pensiero filosofico di Bernardino Varisco, la dattilografa dell’Ufficio, Bianca Fusilli, ne dattiloscrisse cortesemente il testo. E il 22 Novembre 1950, Livia si laureò in Filosofia, con 110 e lode, nell’Università di Catania: relatore, il prof. Carmelo Ottaviano. Il preside del Liceo Classico di Chieti, prof. Luigi Consoli, etneo di Trecastagni, si congratulò vivamente con lei. La sua figliola Rosaria sposò un insegnante catanese, Franco Nicolosi, ed io donai loro la Stornellata in Sicilia del ’47. Conoscevo da tempo il giovane Giacomo Vaccari (che aveva recensito la mia mostra e frequentando a Roma l’Accademia di Arte drammatica, sarebbe divenuto un brillante regista televisivo: La Pisana e Mastro don Gesualdo). Mi teneva spesso compagnia, in quello che era ormai nei pomeriggi il mio ‘studio’. Si discuteva e si scherzava. Emerse allora nella cronaca giudiziaria di Viterbo il processo al bandito Gaspare Pisciotta, implicato nella strage del 1° Maggio ’47 a Portella delle Ginestre, eccidio di contadini che mi aveva indignato. Parlandone con Vaccari, quel fatto drammatico mi parve idoneo per il tema del Premio Suzzara: Il lavoro e i lavoratori nell’Arte. Cominciai a progettarne vari impianti. All’alba del 18 maggio 1951, nella clinica pediatrica dell’Ospedale Civico di Chieti, Livia ci donò Valeria. La mia Mamma, autentica sensitiva, aveva sognato all’alba di accorrere al vagito della nipotina. Frattanto, con l’assistente Romano Lèpore, andai a ‘Saepinum’ (Altilia) nel Molise. Non c’ero mai stato. Sapevo che vi fosse da avviare lo scavo del Teatro Romano. Invece, la cortina muraria esterna, inopus reticulatum di tasselli litici, era a vista per tutto il perimetro. C’era da liberarne la càvea, invasa dalle abitazioni contadine, peraltro non del tutto sgomberate. Lasciai Lèpore a Sepino e tornai a casa. Rifeci la spola ogni settimana e riempii di schizzi un minialbum, con i sembianti di vari operai, di una vecchia spiritata e di un ragazzino, Dumì (Domenico) che si divertiva a vederli nascere. Intanto il falegname della Soprintendenza, Emilio Barbetta, mi aveva costruito un cavalletto a regola d’arte e predisposto il foglio di masonite (cm. 273 x 125) su cui incominciai a comporre alcune figure di Portella delle Ginestre. Finalmente Cianfarani tornò da Alba e lo informai dei lavori fatti a Sepino. Ma egli mi interpose l’aut aut: volevo fare l’archeologo o il pittore? Gli risposi: “Per me, dipingere è come respirare. Posso stare in apnea solo qualche minuto”. Si trattava, in realtà, solo della mia immissione definitiva nei ruoli organici scientifico-direttivi delle AA. e BB. AA., dopo tre anni da salariato temporaneo. |