Ritratto del Ten. Serni Compagno di prigionia Prigioniero di spalle |
Nella notte dell’8 Settembre, un ‘commando’ costrinse l’Ammiraglio Inigo Campioni a firmare la resa ai tedeschi di tutte le truppe italiane dell’Egeo. Ma quella resa rimase occulta sino al pomeriggio del giorno 12, mentre dal 9 settembre fummo in balìa di un conflitto assurdo con assalitori che avevano già in pugno la vittoria ma ci bombardarono con i carri armati e gli aerei Stukas in picchiata. Dovemmo arrenderci, benché enormemente superiori di numero e tutt’altro che vinti. Purtroppo, in quel tremendo bailamme, era stato ucciso da una granata tedesca il caro Dino Borgatti. Ne curò l’inumazione nella nuda terra il caporale della squadra cannonieri, Salvatore Mecca, da Sterpito (Potenza). Appresi poi che nel caposaldo susseguente era stato ucciso il caro amico Oreste Sìclari! Seguì una fase di totale anarchia. I reparti militari disfatti resero ognuno libero di muoversi. Taluni, che ritennero di andare in Anatolia affidandosi a traghettatori notturni senza scrupoli, tornarono di giorno cadaveri galleggianti alle sponde dell’isola. Faceva propaganda tra gli Ufficiali, perché aderissimo all’offerta dei tedeschi di collaborare con loro, un certo Colonnello Migliavacca. Avevo raccolto il manoscritto di Dino Borgatti e glielo affidai, perché provvedesse a recapitarlo ai famigliari. Ma poi appresi che il naviglio, con cui quel Colonnello e taluni Alti Ufficiali avevano tentato di tornare in Italia, fosse stato affondato dai Partigiani Greci. Dopo un ultimo saluto agli abitanti di Soronì, da cui appresi ripugnanti malefatte tedesche, andai a Rodi, al Circolo Ufficiali. Mi ritrovai con tre colleghi della mia ex Compagnia: Turi Arena e Ugo Folin, genovesi, e Aldo Scarpa, veneziano. Insieme a tanti altri, liberi di andare in giro, ma di fatto in mano ai tedeschi, decidemmo di attendarci al margine della grandiosa pineta di Arcìpoli, al centro dell’isola. Vi rimanemmo per il resto del 1943. Conobbi altri amici: Vittorio Alfieri, napoletano, Sergio Mezzana, da Molfetta, Alessandro Natta, di Imperia e Dino Bernardi, milanese, che eleggemmo ‘duca di Arcipoli’. Curammo uno sperduto cagnetto, setter bastardo, ferito alle gambe. Lo chiamammo ‘Fido’. Ci si affezionò devotamente. Un altro cane, ‘Pisquano’, vagava sempre famelico nella tendopoli. Al sorgere del gennaio ’44, dovemmo trasferirci tutti ad Asguru, in attesa di imbarcarci verso la Germania. Il che ebbe luogo ben presto e nei modi più drastici: il mio zaino, pesante di libri, rimase sul molo rodiota. Viaggiammo in mare fino a Lero. Vi sostammo un paio di giorni. ‘Fido’ aveva eluso quegli energumeni. Ci scodinzolò felice, a Lero, al di là del recinto. Cacciato via, una fucilata ci avvisò che non lo avremmo rivisto mai più ! Ripartimmo verso ìl Pireo nella bolgia dantesca di una stiva stracolma di deportati, ufficiali e soldati, che si arrampicavano su una fune per smaltire in appositi bidoni, in ‘coperta’, i bisogni fisici. Ad Atene sostammo accantonati per circa due settimane, trattati in modo urbano, tanto da poterci permettere, in gruppi di tre al giorno, un pranzo in ristorante, da offrire al tedesco di scorta. Poi, eccoci pronti per il grande viaggio in ‘carri-bestiame’, tra soste fisiologiche collettive, ben vigilate, un carro alla volta, lungo i Balcani. |