Antologia critica
Anni ’70
1972
Mario Monteverdi
I suoi vasti interessi culturali l’hanno portato ad interessarsi, con grande competenza professionale, di problemi archeologici e di storia dell’arte. Giuseppe Consoli, nella sua attività pittorica e scultorea, porta costantemente il segno di tale sua formazione, suffragata da un acuto senso poetico. Pur mostrando un temperamento espressionista, non si è mai sottratto alle seduzioni suggeritegli da un’arte del passato interpretata nei più persistenti valori folkloristici, ossia in quel substrato che sopravvive nello spirito del popolo. La sua rielaborazione formale d’un simile contenuto assume però un sapore modernissimo in virtù di quell’aggiornamento che la cultura comporta e che l’istinto avvalora.
“Annuario degli Artisti visivi italiani, le quotazioni dei pittori e degli scultori”
1972 Ed. Seletecnica – Milano, pp. 169-170
1973
Carlo Munari
Le immagini di Consoli sembrano percorse da un antico furore. Più che ai portati della cultura figurativa riferita alle sua generazione, questo artista è vincolato alla Stimmung della sua terra siciliana: a un fitto intrecciarsi di solarità e di notturnità, di magnificenza barocca e natura selvaggia, fascino di negre rocce vulcaniche e di un mare ossessivamente azzurro. Certo la sua vicenda aduna esperienze molteplici, e tuttavia quella Stimmung è ravvisabile in ogni tempo: dai periodi della formazione, nell’immediato dopoguerra, quando la lezione post-cubista in genere e il picassismo esercitavano un carico di suggestioni pressanti, a quelli in cui la propensione al realismo cercava legittimità nell’istanza sociale, e quindi nei cicli delle “aggressioni notturne”, delle “rapine” e degli “incidenti stradali”, dove invece la desunzione del lato cronistico avvalorava la denuncia dell’assurdità della violenza. Adesso, in più matura stagione, il linguaggio è andato decantandosi in una equilibrata plasticità, in una sorta di oggettivismo nel quale però l’antico furore lungi dal placarsi, si rafforza in ragione della pregnanza di dati esclusivamente pittorici. Consoli non racconta nè scrive: egli è riuscito a emblematizzare l’evento nei termini di un lirismo essenziale che trapassa dai toni di un’asprezza disadorna fino alle note alte di una panica comunione. In questo senso i Paesaggi etnei (36–37–38–39–40) sono esemplari indicando la pluralità di ricezione di un avvenimento: quei profili di monti stagliati sull’uniformità di cieli incandescenti, quelle torsioni d’oscure rocce scoscese e tormentate, quei fiori di colore e di luce che emergono da inusitati grovigli trasformano il paesaggio in un misterioso groviglio di vita organica nel quale soggetto evocante e oggetto evocato si compenetrano in allucinante tensione. Questa serie di dipinti ha favorito l’instaurarsi di una dimensione e spaziale inedita rispetto alla precedente vicenda, rendendo possibile l’affrancarsi della susseguente serie dei “Gatti”(41–42.43–44), nella quale in pienezza rifluiscono le doti di Consoli. Stagliandosi contro campiture ampie e imbevute di luce – la greve, inebriante luce meridionale – la figura del gatto si propone come l’improvvisa apparizione di un animale mitico, di un latore di messaggio arcano e insieme enigmatico. Potenziando il suo essere ferino, adombra talora di presagio di una minaccia incombente; definendosi in altre versioni nel segno di una parvenza domestica, sembra configurarsi a guisa di nume tutelare. Momenti diversi di una tematica che trova comunque unità di rappresentazione per la cadenza del linguaggio. Il ritorno di Consoli a Milano, coincide dunque con le sue prove più significative. E’ da prenderne atto con soddisfazione: la generazione di Consoli, sorta sulle rovine del Novecento e costretta a creare, giorno dopo giorno, i propri credi, al di là delle mode caduche e dei gusti provvisori, rende ancora una volta testimonianza della propria vitalità, della propria necessità di espressione..
Presentazione del Catalogo per la personale alla Galleria ‘Pater’
Via Borgonuovo 10, Milano
Nino Delnatta
(…) I gatti di Consoli – uno dei più originali temi svolti dall’artista le cui prime esperienze risalgono al 1954 – pur mantenendo tutte le naturali prerogative si inseriscono in un discorso dove l’uomo è pienamente coinvolto. L’iconografica rappresentazione dell’animale isolato, aggrovigliato, duttile nella propria struttura fisica, decorativo e orgoglioso, si associa al possesso di un sesto senso che capta ciò che l’uomo ignora e che vede ciò che l’uomo non può vedere. Consoli fa di questo animale un autentico personaggio con una posizione e una personalità sempre e comunque ambigua. L’aggressività che lo contraddistingue negli atteggiamenti è un fatto vitale che può essere trasferito all’uomo. I gatti, inoltre, hanno una carica umana che traspare evidente dal loro “portamento” che rispecchia un vero stato d’animo. Sarà forse una reminiscenza di antiche civiltà, dove questo felino domestico era venerato e simboleggiava una divinità, oppure un aggancio alla particolare natura muta ma piena di intimo dialogo che questo animale dimostra attraverso il suo modo d’agire. Consoli ha captato nel gatto, con attenta osservazione, tutti quei semplici ma significativi “modi” che possono facilmente ricondursi alle azioni e ai pensieri dell’uomo. In sostanza può essere una elevazione a livello umano di un animale che inconsciamente rappresenta con il suo istinto valori spirituali; prerogativa dell’uomo la cui aspirazione si concretizza nella ricerca della autonomia. I vivaci colori e le rotonde forme del gatto richiamano nel fruitore momenti di vita dove la spiritualità predomina sulla oggettività dei fatti….
“Giuseppe Consoli – Galleria Pater- Milano”
Candido, Anno VI, n. 6 – 8 febbraio
Giorgio Mascherpa
Giuseppe Consoli, studioso, storico e funzionario di soprintendenze artistiche, è un siciliano assai noto anche a Milano. Dopo averlo conosciuto come coraggioso attribuzionista pisanelliano e neo-antonelliano, eccolo nella sua veste forse meno conosciuta, ma non meno importante di pittore, esporre (…) da Pater, in via Borgonuovo. E’ una mostra che documenta i filoni pittorici del Consoli, la sua singolare fauna espressionista di gatti araldicamente rampanti, le sue scene popolari così circoscritte in forme ampie e mediterranee. Infine le sue contemplazioni paesistiche etnee, così ricche di spazi, di accensioni cromatiche, di accostamenti arditi. E’ appunto nell’ardua composizione di questi contrasti che la sua ricerca sembra più ostinatamente incentrarsi e lascia intuire prossime ancor più mature conquiste.
“La Sicilia espressionista”
L’Avvenire, Milano, 26 gennaio
Enotrio Mastrolonardo
Giuseppe Consoli – nato a Mascalucia sull’Etna – è pittore da sempre. Nonostante la lunga carriera, svolta nell’Amministrazione delle Antichità e Belle Arti, che lo ha portato a Milano, (…) egli non ha mai trascurato la pittura, che porta nel sangue e nello spirito come la sua più forte e autentica vocazione. Prova ne è la continua e intensa attività ch’egli è andato svolgendo dal 1947, con una notevole partecipazione a mostre nazionali, regionali e di gruppo, tra cui la Quadriennale di Roma del 1948, e parecchie personali in Italia e all’estero, delle quali questa è la terza allestita a Milano. Ma ciò che è più importante, la prova dell’autenticità della sua vocazione artistica è offerta, soprattutto, dai suoi attuali risultati pittorici, che rivelano un costante e sicuro progresso teso alla conquista di una bene individuata personalità, che si può già chiaramente intravedere, nonostante affioranti richiami e suggestioni provenienti da varie parti. (…) Una libera e poetica fantasia che scaturisce spontaneamente dall’osservazione della natura e della realtà della vita, con una forza istintiva, non priva di ingenuità e candore, che sono sempre sentimenti autentici, perché danno alla restituzione pittorica una capacità d’espressione incisiva e immediata, con un colore fresco, assai bene accordato con gamme intense e tese, sui rossi incandescenti, sui blu notturni, sui verdi smaltati, sulle ocre calde, in un’aria di stupefatta magia.
“Giuseppe Consoli alla Galleria ‘Pater’ ”
Il Narciso, arte e cultura, Anno &°- n. 4 aprile 1973 p. 41
Marco Valsecchi
(…) La collocazione della sua pittura è in zona espressionistica per il furore che la anima; un espressionismo che, in lui siciliano, trae più direttamente dalla pittura messicana (Orozco, per esempio) che non dalla pittura tedesca, con un singolare incrocio di cultura sopra radici isolane antiche.
“Crepuscolare con ironia (…) Furore espressionista di Consoli”
Il Giorno, Milano, mercoledì 31 gennaio p. 6
Gino Traversi
Il rientro di Giuseppe Consoli nell’agone milanese non poteva avvenire sotto migliori auspici. Il suo nuovo modo di dipingere, che sostanzialmente si avvale di tutte le precedenti esperienze, è certamente il frutto della meditata pausa del suo soggiorno siciliano. Questa luce, questo colore e gli stessi spunti iconologici (menzioniamo ad esempio il gatto: dio della luce presso gli egizi) non potevano prendere corpo che in quella mitica terra etnea da cui l’artista peraltro, trasse i natali. Linguaggio maturo e personale che, nei tagli come nella tipologia dell’immagine, rivela notevoli agganci con la cultura mediterranea rievocata, nello spirito e nelle forme, con mordente gusto attuale.
“Note d’Arte”
Socialità, Milano, Anno II, n. 3 marzo, p. 9
Antonino De Bono
L’espressionismo di Giuseppe Consoli è immediato, punta sull’effetto chiaroscurale, sui segni e sui gesti in primo piano dei protagonisti; ingigantisce le dita per narrare la storia dell’eloquenza popolare tipica del meridione; scopre visi intenti a mimare un’antica arte dove la dialettica opera ancora con le mascelle contratte, con gli sguardi allusivi, col pollice e l’indice ad arco per ammonire. Predominano i colori scuri abbeverati di blu intensi, i neri avorio variegati di rosso a sprazzi, i viola conturbanti e pieni di siculo mistero. I paesaggi sono visioni riprese dalla costa o dal mare, paesini disperatamente aggrappati alla montagna arsa dal sole, dove i licheni e le piante nane abbarbicate all’humus depositatosi sulla lava antica o sul granito, in un miscuglio di terreni devoniani e siluriani, fanno cornice all’ultimo lembo africano in terra europea. Qui il colore è macerato, sprizzato d’umori che sanno di prugne schiacciate e di olive passate al frantoio, tant’è amalgamato col sudore della terra e con i frutti dell’isola il pigmento…
“Critica d’Arte-Oggi”
La Spezia, Anno II, nn. 3/4, giugno-luglio, p. 31
1975
Carlo Munari
Appena due anni or sono scrivevo che le immagini di Giuseppe Consoli sembravano «percorse da un antico furore» in quanto « Più che ai portati della cultura figurativa riferita alle sua generazione, questo artista è vincolato alla Stimmung della sua terra siciliana: a un fitto intrecciarsi di solarità e di notturnità, di magnificenza barocca e natura selvaggia, fascino di negre rocce vulcaniche e di un mare ossessivamente azzurro». Di fronte al nuovo ciclo di esperienze verso il quale Consoli sollecita adesso la nostra attenzione, quelle constatazioni permangono valide perché, se è vero che uno scarto linguistico è intervenuto, è ugualmente vero che l’immagine continua a fondarsi su quella Stimmung. E che significa che Consoli – imprevedibile, per certi versi, nelle sue intuizioni e nelle sue ricerche – mai tradisce se stesso, ma coltiva bensì l’immagine sulla fertile humus di un patrimonio originario. Coerenza, dunque, interiore prima che linguistica. E coerenza che idealmente accomuna l’una all’altra le diverse fasi del suo operare fin da tempi lontani, ora inclini all’interpretazione della realtà umana, con tutte le implicazioni sociologiche ad essa collegate, ed ora invece a una versione del paesaggio etneo magicamente sospesa fra connotazione reale e connotazione mitica: poiché dietro a Consoli si dipana una vicenda vissuta e meglio vorrei dire: patita – che affonda le radici fin nell’immediato dopoguerra, quando ai giovani d’allora spettava il compito di rielaborare temi e linguaggi sulla «rovina del Novecento». Coerenza che appunto congloba anche la differenziazione dei modi espressivi identificabile nel ciclo d’opere più recente – i fondi bui che esaltano viluppi di forme antropomorfiche – ciclo che anzi maggiormente accentua il vincolo dell’artista alla sua terra. A nessuno, infatti, sfuggirà come questi dipinti trovino relazione analogica con le decorazioni vascolari greche o, se si vuole, della Magna Grecia, ma come anche le definizioni stilistiche vengano stravolte da una furia tutta attuale, motivata cioè da sentimenti e stati d’animo, da emozioni e riflessioni insorti dinanzi allo spettacolo offerto dalla contemporaneità. Motivata, soprattutto, dall’incombere di un dolore per l’ingiustizia che colpisce l’uomo, dall’urgere di una denuncia per la continua crocifissione cui esso è sottoposto, dal prorompere di una protesta che non è sterile ma vuole additare la via della salvazione giusto evocando a monito le situazioni negative: l’odio, la violenza, il sopruso, la ferinità, anche il sesso disancorato dalla natura e ostentato lubricamente come futile moda. La consistenza metaforica di queste figure dolenti e torturate, fissate nell’urlo della disperazione o nel gesto agghiacciante del delitto, di questi grovigli di creature incatenate da un identico fato, di queste lotte fra uomini e monstrum – il mostro perverso che assedia le nostre giornate – è del resto la stessa che aveva innervato la lunga serie delle «aggressioni notturne» , delle «rapine», e degli «incidenti stradali» di più vecchia datazione (1964/65); solo il linguaggio è parzialmente mutato, aspirando adesso a una più essenziale incisività. Coerenza, ancora, a comprova che l’atteggiamento di Consoli è rimasto indenne, semmai nutrendo l’intonazione del suo esprimersi di più profondi e sottili umori siciliani. Avviandoci a conclusione, si potrebbe affermare che, in tutto il suo arco ormai ampio, l’opera è promossa da un’assidua meditazione portata sulla condizione umana, dalla quale conseguono sia lo scatto di collera che la parola di speranza, i segni certi cioè della adesione intellettuale ed emotiva di Consoli. Opera, dunque, che deve essere verificata con particolare cura, con amorevole attenzione: essa rappresenta, alla fine, lo specchio impietoso in cui è dato rifletterci, di riconoscere la nostra qualità umana inaridita, lacerata se non addirittura smarrita.
Presentazione al Catalogo della personale alla Galleria d’Arte “Gipico” di Arese
Raffaele De Grada
Da tanti anni dipinge Giuseppe Consoli, a Messina, a Milano e altrove. Ma Consoli, molto conosciuto come storico dell’arte e direttore di musei, non ha ancora il suo posto come pittore. Eppure, che pittore. Consoli ha il pregio di fare una pittura che sembra completamente abbandonata all’impulso dell’emozione: un’esplosione di colori che raffigurano un paesaggio etneo, un mercato di paese, un gatto, un incidente di automobile, uno stadio che urla. Eppure è una pittura controllatissima, che coinvolge lo spettatore ma anche lo domina, per quel pregio della cultura che fa del pittore un essere pensante, capace di tessere un discorso unitario pur nella varietà delle esperienze e dei momenti emotivi. Dal colore, intessuto di uno straordinario impensabile accostamento, si passa all’immagine, dove si controllano con facilità i contenuti di Consoli. Si direbbe di Consoli che egli è libero da tutti gli schemi correnti; difficile infatti sarebbe assegnargli una casella, un numero progressivo del divenire di una scuola. Consoli è partito da una esperienza di natura, il sole bruciante dei suoi fondi da vaso ellenistico, l’asciutta muscolarità delle sue figure dipinte su fondo nero o rosso, da vaso greco. Ma la «natura» trova nel linguaggio di Consoli una immediata trasformazione visionaria, così che lo stile prende il corpo lasciato momentaneamente dell’indistinto finché non appare per un nuovo scatto che ti attendevi.
“Il colore siciliano di Giuseppe Consoli”
Giorni, Anno V, n. 25 del 5 febbraio p. 9
Raffaele De Grada
(…) A vedere questa sua mostra da Gipico, ad Arese, non si direbbe che Consoli ha una preparazione culturale storica come quella che possiede, tanto egli è libero e inventore nelle forme, richiamantesi a una storia di primordialismo, a un mondo inventato di mostri e di presenze animali che Consoli trasforma come vivesse in un mondo preistorico. Il carattere aggressivo, incidente sullo spettatore, dell’opera di Consoli meriterebbe un approfondimento che ci proponiamo di fare prossimamente. Ora mi basta di segnalare che l’opera di Consoli non può essere considerata semplicemente come una delle variazioni sul piano formale. Essa condensa riflessi psicologici di una situazione esistenziale che si colloca nell’attuale condizione dell’uomo di fronte ai diritti della fantasia, mentre la vita nel contesto sociale si fa sempre più difficile e complicata.
“Il siciliano Consoli“
Giorni, Anno V , n. 17 del 30-4