Antologia critica
Anni 2010
2018
Flaminio Gualdoni
Consoli riprende il filo della pittura nei primi anni settanta con la personale alla galleria Pater, Milano, 1973, e poi con la serie di figure rosse svarianti tra l’abbreviazione linearisticamente sintetica e ironica, ancora, che evoca il Pierre Bonnard dell’Almanach illustré du père Ubu di Alfred Jarry, edito nel 1901 da Vollard, venandolo di bruschezze gestuali, delle figure femminili e delle cronache colte in presa diretta, e la tensione di opere che si vorrebbero nuovamente monumenti civili come l’affocata serie delle piccole ma straordinarie Barricata, 1974, che approda a Degenerazioni, 1976. È, questa, la sua stagione più alta, per libertà dai modelli e per tensione emotiva, per souplesse ironica, come sempre esente da implicazioni altisonanti. Le sue figure rosse o nere su fondi monocromi, codice formale ripensato dall’antico ma ora in cerca d’altre sintesi che formali non siano, sono l’evidenza cruda, che si vuole assoluta, del prosciugarsi della speranza: sono non cronaca del mondo, ma teatro e spettacolo di follia insensata (Tortura, 1973, Vittime del pestaggio, 1974, Sassaiola e Uomini contro, 1975, Colluttazione, 1977: e confronti sono possibili solo con gli espressionismi delle generazioni ulteriori, come l’Helmut Middendorf di Elektrische Nacht, 1979, ora allo Städel), di un dilagante e umorale senso di morte che giunge a intaccare e render perplesso, anche, l’erotismo e le sue forme. Tiene altre mostre, e sempre sporadicamente, Consoli. Ma la sua pittura si proietta ancora entro gli anni ottanta con tentativi ulteriori, biomorfismi e metamorfosi ormai compiutamente visionari, la constatazione ulteriore che una ragione possibile di forma – e di allarme, anche della forma – si annida al livello non dell’umano ma del biologico, nel clima visivo sospeso e nuovamente turgido di mutazioni, protogenesi, trasformazioni di cui dar conto con libertà fantasticante: un altro mondo possibile, forse, non combusto come la vita vera.
“Percorsi di Giuseppe Consoli”
“Le molteplici anime di Giuseppe Consoli”. Ed. Nexo Milano, pp.16-17
Maria Angela Previtera
Già a partire dalla fine degli anni cinquanta, l’artista sembra infatti incline a una riflessione sul valore della figura che può non essere più un vincolo da rispettare e sull’idea che la scultura deve affidarsi a forme differenti. Questo percorso prende corpo inizialmente nella Danzatrice delle azalee che, pur riecheggiando una tradizione formale di un certo Ottocento di marca francese, aggiornata dalle soluzioni proposte da Francesco Messina, si distacca da quest’ultima grazie all’uso sapiente della materia. La forma scattante della ballerina è resa attraverso il sovrapporsi di piani sagomati e spigolosi che reagiscono al vibrare della luce come una tastiera percossa dalle mani del pianista con un dinamismo di grande effetto, accentuato dalla posa tesa e vibrante. Ma la sua ricerca prosegue con un aggiornamento formale che si spinge in direzione dell’astrazione in un processo che prende avvio in opere come Forma 12 e Legamenti e struttura fino a Senza titolo riferibili al 1960-1961, in cui le sagome in ferro si intrecciano e sovrappongono come in certe soluzioni grafiche che Consoli elabora nello stesso momento, tra tutte la china su carta Struttura spaziale. Queste opere sembrano richiamare analoghe esperienze condotte negli stessi anni da alcuni artisti fuoriusciti da Brera, in particolare Agenore Fabbri per l’inquietudine delle forme, Giancarlo Sangregorio per la sperimentazione della materia e Giovanni Paganin per la serie Uomo e Maternità del 1959 che rimandano al più noto ciclo di Consoli dedicato ai Ciclopi. Questo cambiamento di indirizzo non passa inosservato e subito la critica più attenta si sofferma sulla capacità dello scultore che «piega la tecnica del ferro saldato a ritmi nei quali si perde ogni rievocazione della realtà, trasfigurata nella fantasia dell’immagine e nella esaltazione quasi artigianale delle possibilità della materia», come osserva Jean Sovall a proposito della presentazione al pubblico dei Ciclopi, nel 1963. Con questa serie di importanti lavori, disegni, ma soprattutto sculture, Consoli ottiene diversi riconoscimenti per la novità del suo linguaggio formale e per l’utilizzo di nuovi materiali plastici come il fertène policromo, suscitando un vivo interesse per queste opere che «portano un segno originale, vivo, e che si innestano decisamente dell’ambito, non vastissimo della scultura italiana d’oggi», come ben sottolineava Emilio Tumminelli nel catalogo della mostra personale dell’artista tenutasi sempre nel 1963 presso la Galleria L’Indice a Milano. Una novità che non era sfuggita all’attenzione di Lucio Fontana e neanche a quella di Remo Brindisi, tanto da sollecitare il maestro ad acquisire per la sua collezione personale la scultura più monumentale della serie dei Ciclopi, in ferro saldato, alla stessa mostra milanese.
‘La forma della scultura’
“Le molteplici anime di Giuseppe Consoli”. Ed. Nexo Milano, pp.22-23
2019
Filippo Pappalardo
In un momento storico in cui l’arte contemporanea ha assunto toni di un’autorefenzialità culturale ed economica così accentuata, con opere ermetiche o di dimensioni colossali, tanto da tenere ai margini anche quel collezionismo diffuso che ne è stato la spina dorsale, le mostre di Giuseppe Consoli a Palazzo Platamone a Catania e all’Auditorium Mauro Corsaro di Mascalucia in occasione del centenario della nascita, assumono una particolare caratteristica che arriverei a definire didattica. (…) l due mostre – storica quella di Catania, con opere importanti di assoluta qualità, più empatica e poetica, quella di Mascalucia che traduce in immagini le nostalgie di un intellettuale per il suo paese e per la sua gioventù, f- risultano una guida, non solo per il percorso artistico di Giuseppe Consoli, ma anche per l’evolversi delle arti figurative di quello stesso periodo. Se quindi La vendemmia, Il Falò dell’Ascensione, il Carriolo a pallini, L’aquilone, Il gioco delle noccioline esposte a Mascalucia, parleranno al nostro cuore, opere più complesse a sfondo politico e sociale come Lacrimogeni a Mussomeli o Scippo, esposte a Palazzo Platamone a Catania, parleranno al nostro cervello, mettendoci magari in crisi,ma ci faranno capire come le arti figurative ormai non si accontentino più di riprodurre la realtà ma sono sempre alla ricerca di nuove strade capaci di emozionare, stupire e persino scandalizzare, creando però quel dibattito culturale che è sempre necessario per il progresso in ogni campo delle attività umane scientifiche o artistiche. Se oltre ad emozionarvi con le opere più tradizionali, il lavoro di una vita di Giuseppe Consoli vi avrà pure fatto intuire quale sia il giusto modo per affrontare le evoluzioni spesso ermetiche dell’arte e vi avrà reso più attenti ai suoi linguaggi, queste due mostre siciliane resteranno nella vostra memoria ed il nostro lavoro sarà premiato.
“Giuseppe Consoli, un siciliano fa i colori dell’Isola” catalogo della mostra per il centenario dalla nascita
Catania , 18 maggio- 23 giugno, pag.9
Giuseppe Barone
(…) ora la maturità compositiva dell’artista piega la sua “vision” pittorica verso esiti di totale libertà espressiva. E’ il momento delle Metamorfosi,(73–74–75) una ricca varietà di disegni a china che presenta a Catania nel 1979, nello stesso anno in cui pubblica nuove ricerche di storia dell’arte su Antonello da Messina. Dalle sue opere è ormai scomparsa qualunque “griglia” picassiana e così forme astratte e polimorfiche danzano in uno spazio senza tempo, intrise di colori intensi e macerati che rimandano alle decorazioni vascolari della Magna Grecia. Il cuore mediterraneo di Consoli torna così all’antico, alle origini di una vicenda artistica che ha attraversato in modo eccentrico tutti i percorsi del moderno. Una personalità fuori dagli schemi e creativa, simile a quella del pittore conterraneo da lui più amato, quell’Antonello fuori dai luoghi comuni, come recita una sua monografia del 2002. Ed è questa continuità ideale tra Antonello da Messina e Giuseppe Consoli a marcare i caratteri originali di una storia culturale “mondiale” della Sicilia contemporanea.
‘Giuseppe Consoli, un pittore siciliano moderno e antico fuori dagli schemi’
“Giuseppe Consoli, un siciliano fa i colori dell’Isola” catalogo della mostra per il centenario dalla nascita
Catania , 18 maggio-23 giugno, p. 21
Antonio D’Amico
Ma tornando al 1947, ossia alla radice del suo fare pittorico, almeno sul piano della partecipazione alle mostre, in quel Fichidindieto, dipinto su tavola, che l’artista presenta alla mostra catanese sul paesaggio, esprime con intenzionalità il senso della sua pittura che è costruita con un linguaggio “figurativo-semantico”, necessario, come egli stesso scriverà qualche anno più tardi, “per designare esclusivamente un tipo di figurazione di riferimento, ove ogni forma abbia valore di oggetto riconoscibile, di parola significante, nel contesto di un chiaro “racconto” per immagini”. L’intera produzione di Consoli, infatti, è costruita su “forme riconoscibili della realtà oggettiva”, anche quando egli tende verso l’astrazione, la mutazione e la metamorfosi, senza immergersi mai nell’informale assoluto, linguaggio che non considera semantico: “le immagini casuali, la vitalità, apparentemente sfrenata, i grumi, i brandelli, le sforacchiature, i tagli, i rattoppi, le crepe, le brasature, gli impasti a spessore, le colature, le spiegazzature, eccetera, documentano un gusto, un controllo raffinato dei processi tecnologici, e l’uso di sorvegliate derivazioni intellettualistiche, ma non possono svolgere alcun ruolo linguistico, vale a dire semantico”. Il sostrato di Consoli è difatti imperniato su due solide ancore, una visone intima del reale e un codice che ha le fondamenta nella cultura classica. Infatti, come è stato rilevato, tutto il suo lavoro è “un processo, un racconto che scaturisce dal possesso di un ricco repertorio intellettuale, letterario e infine formale, estremamente vario, ma soprattutto aperto a ogni sollecitazione”, e se anche non direttamente nei soggetti dipinti, quanto meno nei colori brillanti e decisi, l’afflato verso la sua Isola torna sempre, costante, come un radicante penetrato nella mente e negli occhi.
“Giuseppe Consoli: lo storico dell’arte e l’artista. La Sicilia nella mente e negli occhi come un radicante”
“Giuseppe Consoli, un siciliano fa i colori dell’Isola” catalogo della mostra per il centenario dalla nascita
Catania , 18 maggio-23 giugno, pp.24-25